Nel tempo in cui è stata scritta la commedia il lotto - non diversamente da oggi - era il sogno napoletano a buon mercato: i piccoli borghesi vagheggiavano un vestito nuovo o una nuova sala da pranzo, le ragazze da marito il corredo e via sognando... Tutti in attesa del sabato, giorno in cui i numeri appena estratti, con incredibile velocità, correvano di bocca in bocca, di balcone in balcone, di bottega in bottega, di vicolo in vicolo, deprimendo tanti e regalando a pochi un'effimera felicità. Nella generalizzata consapevolezza che dall'indomani si sarebbe ripreso a sognare, e ad aspettare... Ancor oggi, a Napoli, il libro dei sogni, la cabala, sono quasi un moderno Vangelo nel quale i napoletani cercano non solo l'interpretazione dei sogni ma anche degli avvenimenti, traducibili in combinazioni numeriche. E' opinione diffusa che i morti conoscano il futuro e possano comunicarlo attraverso i sogni o altri segni, e nel caso del lotto possano dare, molto raramente, i numeri o, più frequentemente, figure o "emblemi" da tradurre in numeri con l'aiuto della Smorfia. E' indispensabile, però, che i defunti abbiano lasciato il mondo pentiti, guadagnandosi così il Purgatorio, dove si trovano o dove dovranno andare.
La commedia propone l'eterno contrasto fra sogno e realtà, fra spirito e materia, prendendo spunto da un motivo-chiave della teatralità e della cultura napoletane: l'approccio, non di rado reso esasperatamente irrazionale dal bisogno, al gioco del lotto. Intorno al quale mito, infatti, ruota l'esistenza di tutti i personaggi della commedia che, nel rappresentare fedelmente il sottostante humus socio-culturale, impastato di credenze popolari, di superstizioni, di costante relazione con l'oltretomba, fa agire nella vicenda - quasi con la medesima capacità di determinare gli eventi - vivi e morti. La superstizione si tramuta in fede e si sovrappone alla religione, al punto che diventa difficile distinguerle; così può accadere che un fatto solo desiderabile diventi realtà per qualcuno, a cui può succedere di non vedere più la differenza. Il testo si basa su una lite che oscilla fra spiritismo e giurisprudenza, arrivando all'assurdità di formulare tesi sulla legittima proprietà dei sogni, con l'ostinato Ferdinando da una parte e, dall'altra parte, tutti gli altri personaggi schierati al fianco del suo antagonista Bertolini. A sostenere Ferdinando c'è il "falso aiutante" Aglietiello, che in maniera evidente replica i peggiori tratti distintivi dell'opportunista, bugiardo, ingannatore Pulcinella. Su tutti, poi, aleggia la sovrumana potenza del defunto padre di Ferdinando, Saverio Quagliuolo, al quale finiscono per riconoscere un ruolo effettivo, che obbliga alla ricerca di qualche forma di mediazione, persino il laico e pragmatico avvocato Strumillo e un uomo di fede come il parroco don Raffaele. Ma la commedia propone anche, ovviamente enfatizzandone le dinamiche conflittuali, il tema della "successione", del passaggio di poteri. Dal punto di vista della scrittura teatrale, è stato osservato che Non ti pago parte da uno spunto farsesco per diventare una commedia di costume. In realtà, sarebbe piuttosto da dire che Non ti pago è una formidabile commedia di carattere; dopo la bisbetica di Shakespeare, dopo l'avaro, l'ipocondriaco, il misantropo e il borghese di Molière, dopo il bugiardo, il brontolone e il burbero di Goldoni, questa commedia si sarebbe potuta intitolare "il testardo" o "l'invidioso". Ferdinando ha la passione del gioco, trasmessagli in eredità dal padre, il quale almeno aveva capito che l'unico modo per guadagnare in modo sicuro sul gioco del lotto era quello di gestire una "ricevitoria". Morto il padre, Ferdinando eredita passione e ricevitoria, spendendo per la prima quanto guadagna con la seconda. Frustrato dalla sua persistente condizione di sconfitto da Bertolini nell'inseguire la fortuna con il gioco del lotto, è ancor più tormentato dalla prospettiva di abdicare al suo potere, di stampo ormai vetero-patriarcale, "concedendo" sua figlia in sposa al rivale e preparando, di fatto, la successione nella gestione del banco del lotto, fino ad allora considerato quasi "lascito dinastico", fonte di risorse economiche e dello stato sociale privilegiato che compete ad un datore di lavoro. In fondo, si tratta di quel conflitto generazionale, che tornerà tante volte nel teatro di Eduardo, fra il detentore del potere familiare - ormai nella fase discendente della sua parabola - e "l'uccisore del padre" che rivendica ruolo e spazio vitale, nel caso specifico incarnato non da una figura filiale ma dal "genero" (che oltretutto ha il torto di "prendersi" anche la figlia). Su questo scontro archetipico, si innestano molti motivi appartenenti alla sfera del folclore tipicamente napoletano: la cabala, i sogni, il lotto, il dialogo alla pari con i morti, il radicato culto popolare delle anime purganti (del defunto don Saverio non sappiamo se abbia meritato il Purgatorio ma, significativamente, all'altra "aiutante" di Ferdinando, Carmela, egli dice in sogno: "siccome ho sbagliato, sto in punizione"). L'ultima creazione dei cosiddetti "giorni pari" era stata Io, l'erede; tra questa, e Natale in casa Cupiello che, grazie alle sue varie riscritture segna di fatto la nascita del ciclo dei "giorni dispari" (da ricordare che la sua prima, embrionale versione è comunque del 1931), si colloca Non ti pago, testo con il quale Eduardo mostra già di essere alla ricerca di un teatro non più costretto nei confini della farsa popolare. E, senza dubbio, una peculiarità della drammaturgia di Eduardo risiede nel fatto che le sue commedie, anche quelle rientranti nella "cantata dei giorni pari", laddove se ne indaghi il senso, con grande facilità assumono ricchezza di significati anche alla lettura e nelle rappresentazioni odierne, permettendo agli spettatori d'oggi di vivere il "presente" di Eduardo come il loro presente. Di ancora fresca attualità si rivelano, oggi, la riflessione sugli effetti destabilizzanti del normale ordine delle cose prodotti dalla coazione a giocare d'azzardo; il "ritorno" dei morti intessuto di elementi pagani e cattolico-popolari; il riconoscimento agli emarginati (come gli esclusi, i poveri, i "femminielli"...) dell'attitudine a dialogare con i morti a vantaggio della comunità (come pretende di fare Aglietiello, che secondo i modelli d'indagine dell'antropologia sarebbe un "operatore magico"), le tensioni familiari (e sociali) legate all'idea della "successione", del passaggio di poteri dai vecchi alle nuove generazioni. Il carattere grottesco e a tratti decisamente comico della vicenda permette all'autore di stigmatizzare, sia pure in chiave teatralmente deformante, il costume di origine pagana dell'offerta votiva non disinteressata, più o meno consapevolmente ancora vigente: io ti faccio dire le messe in suffragio, porto i fiori sulla tua tomba, procuro "rifresco" alla tua anima purgante, e tu mi ripaghi suggerendomi i numeri vincenti al lotto o con altre forme di utile assistenza (mi procuri il posto di lavoro, mi preservi la salute, mi proteggi dagli incidenti e dalla malevolenza altrui...). Ciò che molti studiosi in chiave antropologica del popolo napoletano hanno definito "commercio con i morti". In effetti, la continua frequentazione della dimensione funebre, o meglio spiritica, della produzione eduardiana può agevolmente essere inquadrata con strumenti antropologici, piuttosto che psicologici. Nella sua ostinata ignoranza, che mischia religiosità e superstizione, Ferdinando è autenticamente sicuro di essere dalla parte della ragione, convinto com'è che tenersi buoni i morti legittimi i vivi a rivendicarne i favori, e si rifiuta testardamente di prestare orecchio alle argomentazioni dell'avvocato e del prete che si sforzano di ricondurlo alla ragionevolezza. D'altra parte, Ferdinando non può che sostenere con incrollabile convinzione la validità dell'intervento paterno e l'interpretazione delle intenzioni che attribuisce alla buon'anima; come potrebbe infatti non mostrarsi certo dell'esistenza dell'al di là e di una legge superiore senza gettare una luce di follia sul suo notturno intrattenersi sui tetti per decifrare gli esoterici suggerimenti delle nuvole? A partire da queste riflessioni, forse è possibile un ulteriore filone interpretativo. Se il gioco del lotto è una delle più autentiche espressioni della cultura popolare della città di Napoli, e se Ferdinando nel bene e nel male si "identifica" con il lotto, forse Ferdinando, contrastato sia dalla legge morale rappresentata dal prete sia dalle leggi civili rappresentate dall'avvocato, incarna la stessa Napoli che, non sentendosi nei secoli tutelata dalle istituzioni, magari confondendo desideri e diritti, religione e superstizione, ha finito storicamente per fare affidamento solo su sé stessa, tutt'al più confidando in aiuti soprannaturali. In proposito, non dimenticando l'anno di nascita della commedia, può essere di qualche interesse rileggere alcuni passi tratti dalle Lezioni di teatro, tenute da Eduardo all'Università di Roma "La Sapienza" nei primi anni '80: a un certo punto (a corollario di alcune considerazioni dedicate a Shakespeare) egli dice "Come avrei potuto fare io durante il fascismo, se non far ridere il pubblico e poi in ultimo ammannirgli un capovolgimento dell'azione e mostrargli la tragedia? In quell'epoca anch'io ho dovuto usare una tattica [...] Dopo la guerra ho potuto scrivere Filumena Marturano, Le voci di dentro, Le bugie con le gambe lunghe, Il sindaco del rione Sanità ... mi sono messo contro i magistrati, i politici, tutti! L'avrei potuto fare all'epoca fascista? Sarebbe stato impossibile. [...] fino a quando c'era il fascismo ho dovuto chiudere dentro tutto quello che c'era da dire.". Né va dimenticato quanto Eduardo afferma nel poemetto Vincenzo De Pretore, scritto nel 1948, sull'abbandono e lo sfruttamento di Napoli da parte del governo; tesi poi riprese in Tommaso d'Amalfi, del 1963.
Particolarmente interessante risulta poi il ricorso di tutti i personaggi della commedia a un codice condiviso, per il quale a nessuno di essi sembra possibile disconoscere la valenza di un certo tipo di sogni, della cui legittima proprietà il gruppo arriva a discutere ricorrendo a categorie mentali e dialettiche razionali. Se, da una parte, va rilevata la "pazzia" di Ferdinando che vorrebbe addirittura portare l'anima del padre in Tribunale, non si può ignorare che perfino il parroco non se la sente di escludere del tutto le interferenze di un defunto che, in maniera discutibile finché si vuole, spalleggia Ferdinando, del quale ultimo il religioso dice: "Io non so se ha fatto bene o ha fatto male... in ogni modo ha maledetto...". E, ancora in argomento, va rilevato a proposito del bisticcio fra la Legge e la Chiesa che il "pazzo" Ferdinando trova facilmente spazi di inserimento utili a far vacillare le posizioni dell'avvocato e del prete: per due volte i tre si trovano, da soli, seduti intorno al tavolo a discettare sull'accaduto, nel primo e nel secondo atto; la didascalia che introduce la seconda occasione, in maniera esplicita, richiama la stretta similarità dei due momenti ("Seggono come nella scena a tre del primo atto"). Ma, mentre nel primo atto i due consiglieri di Ferdinando hanno quasi gioco facile a metterlo in difficoltà denunciandone l'irragionevole cocciutaggine, nel secondo atto - dopo il presunto intervento di forze ultraterrene - è Ferdinando che con gli strumenti della logica mette in difficoltà i due interlocutori, ribaltando il senso della situazione di partenza (il parroco: "La maledizione è una cosa seria... L'Anatéma?... eh, avete detto niente...", e l'avvocato: " Qui subentra l'imponderabile... Qui bisognerebbe fare un esorcismo. Questi sono spiriti maligni..."). Le credenze prendono il posto della realtà: se Ferdinando è "pazzo" o superstizioso, coloro che lo circondano non gli sono da meno; non solo Carmela, tratteggiata senza tinte grottesche o ridicolizzanti, che viene a confermare con il "suo sogno" la legittimità delle rivendicazioni del protagonista, ma soprattutto "gli altri", quelli che inizialmente ne confutavano le tesi come frutto di superstiziosa ignoranza. Senza dimenticare la stessa Concetta che, fin dalle prime battute, non disponendo di argomenti più convincenti per appoggiare i progetti matrimoniali di Mario e Stella, del primo arriva ad affermare: "Vuol dire ch'è fortunato. Se si sposa a Stella è buono pure per lei perché con le sue entrate possono fare i signori.". Per finire a Bertolini, che realmente incappato in un'incredibile serie di guai o per casuali coincidenze o - come sostiene l'avvocato - per un fenomeno di autosuggestione, sconvolto dall'atavico terrore partenopeo della iettatura, si rassegna a rinunciare al proprio sacrosanto diritto. Con l'effetto, che prepara il finale, di un imprevedibile ribaltamento delle posizioni dei contendenti, con Ferdinando che cavalcando con sarcasmo la nuova situazione si appropria delle tesi prima sostenute da quelli che lo censuravano ritorcendole contro di loro. Nelle citate Lezioni di teatro, Eduardo rivolgendosi agli allievi dice: "Non ti pago ... è ritenuta solo una commedia comica e viene trattata sotto gamba perché in Italia il comico viene trasformato in pagliacciata, in burattinata. Insomma fingono di ignorare che esiste l'umorismo. E' la commedia più umoristica che io abbia scritto, assurda [...] a un certo punto mi ero talmente ingarbugliato tra la religione, l'avvocato, le leggi, che alla fine non sapevo più come chiudere la commedia. Eppure ho trovato il modo di uscirne: usando la stessa arma. C'è una battuta del prete che dice: «Che volete da me? Io sono un servo del mistero, che si può definire con una sola parola: mistero». Comodo! E allora questo protagonista come lo piega l'avversario? Con la stessa arma, con la superstizione: lo maledice.". Una maledizione che - mistero! - sembra funzionare. Insomma, in tutto ciò si possono anche scorgere i segni di un atteggiamento dell'autore, se non dichiarato tuttavia a lui non estraneo, che tratta la fede superstiziosa dei suoi conterranei con un certo "rispetto"; se si pensa non solo a Non ti pago, ma anche a De Pretore Vincenzo o a Questi fantasmi, è lecito pensare a una rappresentazione della superstizione dei napoletani veraci che oscilla, se si vuole ambiguamente, fra una critica presa di distanze e la compartecipazione culturale ed emotiva.
Qual è dunque la chiave di lettura della commedia che meglio può rispettare le intenzioni autorali? Ancora in Lezioni di teatro, Eduardo dice: "Vorrei farvi l'esempio di una commedia molto comica che secondo me è la più tragica che io abbia scritto e che ha un titolo terra terra, un titolo che può attirare la curiosità del pubblico, ma che non è pertinente alla drammaticità del caso. E' Non ti pago [...] Questa è una delle commedie più tragiche del mio repertorio, eppure fa scoppiare il teatro di risate. [...] La tragedia moderna è quella che fa ridere, non con pagliacciate, con una comicità superficiale, epidermica, ma affondando il dito nella piaga, nel dramma comune, nella tragedia comune [...] Se pensate di commuovere il pubblico con la piagnisteria di un testo pesante, voi perdete il senso della tragedia di oggi. Il mio consiglio è di mantenervi in una chiave grottesca, di assurdo. Noi ridiamo di tutto in questo momento, perfino della morte!". Da qui conviene dunque partire per interpretare questo testo che, per quanto costruito su una trovata decisamente comica, assume significati foschi, inquietanti, da autentico dramma. Ferdinando è un personaggio tutt'altro che positivo; a voler guardare oltre la complice simpatia che suscita nello spettatore per le sue posizioni quasi puerilmente capricciose e per il divertimento che scaturisce dalle sue continue trovate dialettiche, è l'ostinato depositario di un'inaccettabile visione dei rapporti familiari e sociali, dispotico con la moglie, manesco padre-padrone di Stella, arrogante con i dipendenti, pronto ad avvelenare un cane per risolvere piccole beghe condominiali, isolato dai familiari e incattivito nella sua testarda resistenza di vecchio di fronte al nuovo che pretende i suoi spazi, invidioso e vendicativo, pretestuoso sostenitore di argomenti raziocinanti ma non ragionevoli, egli in nessun momento della commedia compie un gesto o dice una parola che lo possano nobilitare. Il "lieto fine" con cui si chiude la commedia non può non lasciare in bocca un retrogusto amaro, se solo si pensi che Ferdinando, nel compiere il "beau geste" di offrire in dote alla figlia che si sposa i quattro milioni della vincita contesa, non fa altro che restituire, indirettamente, al legittimo proprietario ciò di cui si era indebitamente appropriato. Alla fine, di fronte alla valanga di guai che hanno stremato Bertolini, tutti credono alla potenza dell'anima dei trapassati: è la vittoria che cercava Ferdinando; ora che tutto è sistemato e che i fatti gli hanno dato ragione, può permettere le nozze tra sua figlia e Bertolini. Ma è estremamente patetico questo crepuscolo del personaggio che, con un atto pomposamente esibito, con una pacchiana guasconata, nel generale disagio degli astanti, malinconicamente si camuffa da presunto vincitore morale nel velleitario tentativo di mascherare la sua sconfitta di uomo, di marito e di padre.
I critici e gli studiosi non hanno praticamente mai "trattato" il personaggio di Ferdinando come fortemente negativo: tutt'al più definendolo "testardo" e "bizzoso", ma anche lodandone le capacità logico-dialettiche e schierandosi con simpatia dalla sua parte, in maniera anche piuttosto evidente. Ma allora perché Eduardo (del quale va detto che non risultano pronunciati o scritti suoi giudizi sulle qualità umane del personaggio) ha definito questa commedia come la più tragica che abbia mai scritto? Perché, riferendosi alla vicenda, parla di drammaticità del caso? Eppure, quando ha usato questa espressione aveva già composto commedie come Napoli milionaria e Il sindaco del rione Sanità (e, se vogliamo aggiungerla in ragione del suo epilogo, anche Natale in casa Cupiello). Eppure in Non ti pago non muore nessuno, le disgrazie che si susseguono vengono sistematicamente contrappuntate da risvolti comici, c'è perfino il lieto fine... E allora dov'è la tragicità di cui parla Eduardo? Anche su questo non risultano, in maniera documentata, tesi formulate dai critici e dagli studiosi, i quali si sono limitati a riportare l'affermazione dell'autore senza commentarla. La verità è che questa commedia mette a nudo, con quella crudezza ammantata di grottesco che secondo la poetica eduardiana definisce la tragedia moderna, le pulsioni più inconfessabili dell'uomo, l'infimo degrado a cui può spingere la bassezza umana, qui incarnata dal meschino Ferdinando. E questo, in un finale di commedia che abbia ben poco della festa, deve emergere.